Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi, il che è il vostro ragionevole servizio, quale sacrificio vivente, santo e accettevole a Dio. Romani 12:1
Redazione a cura di Caterina Di Miceli
Al termine della lode, nel corso della quale è stato innalzato al Signore il cantico: “Non importa ciò che dicono di me”, l’apostolo Lirio inizia la predicazione ponendo alla chiesa l’interrogativo: “Chi siamo?” e inducendo i presenti a riflettere e a chiedersi: “Sappiamo chi siamo? Abbiamo la certezza della nostra identità?”.
Avere tale consapevolezza, infatti, è molto importante perché ci porta a non dare importanza a ciò che gli altri dicono di noi.
“Noi siamo quello che Dio dice che siamo”, continua l’apostolo, e tra le cose che Egli dice di noi è che siamo un regal sacerdozio.
Il sogno dell’Eterno era che il Suo popolo fosse un regno di sacerdoti (Esodo 19:6), ma poiché nell’A.T. quel sogno non si realizzò perché il popolo non accettò, Egli dovette affidare l’incarico sacerdotale a una sola tribù, quella di Levi.
Il sogno di Dio si è realizzato nel Nuovo Patto.
1Pietro 2:4 Accostandovi a lui, come a pietra vivente, rigettata dagli uomini ma eletta e preziosa davanti a Dio, 5 anche voi, come pietre viventi, siete edificati per essere una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo.
Oggi il popolo di Dio siamo noi e siamo chiamati a svolgere la funzione sacerdotale, ma poiché il compito di un sacerdote è quello di offrire, se non offre è segno che non esercita il suo ruolo.
Anche nel libro dell’Apocalisse si legge che Dio ci ha fatti re e sacerdoti. Egli da noi si aspetta sacrifici spirituali, e uno dei compiti a cui ci chiama è quello dell’intercessione.
Ricordiamo che per chiedere al faraone di liberare il Suo popolo dalla schiavitù, oltre al profeta Mosé, Dio gli inviò il sacerdote Aaronne.
Noi sappiamo che il sacerdote svolge un servizio in favore del popolo, ma la Scrittura afferma che il suo primo servizio è per Dio.
Apocalisse 1:6 e ci ha fatti re e sacerdoti per Dio e Padre suo, a lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen.
La Scrittura afferma inoltre che, proprio in quanto re e sacerdoti, noi regneremo sulla terra con il nostro Signore Gesù; allora non esisteranno più i cinque ministeri che Egli ha istituito per la Sua Chiesa.
Apocalisse 5:10 e ci hai fatti re e sacerdoti per il nostro Dio, e regneremo sulla terra».
Compito del sacerdote è anche quello di fare da mediatore tra l’uomo e Dio. A tal proposito l’apostolo Lirio dice che, come sul piano naturale non è possibile porsi come mediatore tra due contendenti se si è di parte, perché si godrebbe la fiducia di una sola parte, così sul piano spirituale, in quanto sacerdoti, per svolgere la funzione di mediatori in favore del popolo dobbiamo avere una buona relazione con Dio, essere Suoi amici, in caso contrario Egli non ci prenderebbe in considerazione.
Il primo intercessore che incontriamo nella Bibbia è Abrahamo, che poté intercedere per Sodoma e Gomorra innanzitutto perché era stato giustificato da Dio, in secondo luogo perché era stato da Lui dichiarato Suo amico.
Giacomo 2:23 Così si adempì la Scrittura, che dice: «Or Abrahamo credette a Dio, e ciò gli fu imputato a giustizia»; e fu chiamato amico di Dio.
Da questo versetto si deduce che, se vogliamo che i nostri sacrifici spirituali siano graditi a Dio, è necessario che siamo Suoi amici, che abbiamo con Lui una buona relazione.
Nel suo Vangelo, l’apostolo Giovanni ci parla della guarigione miracolosa di un uomo che era nato cieco e potremmo chiederci: “Perché, tra tanti miracoli compiuti da Gesù, Giovanni scelse proprio quello e non la guarigione di qualcuno che era diventato cieco?”. Il fatto è che il nato cieco rappresenta ogni essere umano che, essendo nato in Adamo, non ha alcuna percezione del mondo dello spirito.
Si trattò di una guarigione straordinaria, ma invece di suscitare nei presenti gioia, suscitò polemiche e persecuzione.
Chi intercede si aspetta di essere esaudito, ma a tal fine occorre capire cosa vuol dire ciò che è scritto in Giovanni 9:31 – Or noi sappiamo che Dio non esaudisce i peccatori, ma se uno è pio (theosebēs) verso Dio e fa la sua volontà, egli lo esaudisce.
Dato che la parola “pio”, dal greco theosebēs, indica uno che è devoto a Dio, Gli è sottomesso, Gli obbedisce, Lo riverisce e Lo adora, questo versetto ci dice che, se nella nostra vita realizziamo queste caratteristiche, quando intercediamo possiamo avere la certezza di essere esauditi.
1Giovanni 5:14 Questa è la sicurezza che abbiamo davanti a lui: se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce.
Quando si accinse a intercedere per Sodoma e Gomorra, Abrahamo si pose con umiltà, avendo la percezione della sua piccolezza davanti a Dio.
Genesi 18:27 Allora Abrahamo riprese e disse: «Ecco, prendo l’ardire di parlare al Signore, benché io non sia che polvere e cenere.
L’umiltà, infatti, è un elemento che deve caratterizzare l’intercessore. Non possiamo presentarci a Dio con arroganza e con ipocrisia, ma con sincerità di cuore, in assoluta trasparenza.
Nella storia del fariseo e del pubblicano si narra che, mentre il primo si vantava di quello che aveva fatto per Dio, il secondo dichiarò di essere consapevole dei propri peccati e chiese misericordia. Il Signore apprezzò il cuore sincero di quest’ultimo e lo mandò a casa giustificato, mentre non perdonò il primo, che fece ritorno a casa appesantito dalla propria arroganza.
Per questo chi si dispone all’intercessione deve sentirsi perdonato e non avere sensi di colpa, che danneggiano lo spirito, l’anima e il corpo; in caso contrario, prima di pregare per gli altri deve chiedere umilmente perdono e mettersi a posto davanti al Signore, confidando nella Sua misericordia.
Per un intercessore, tuttavia, il perdono non è tutto, c’è bisogno anche della giustificazione, perché, mentre il perdono rimuove la colpa, la giustificazione fa vivere al livello della giustizia di Cristo, seduti con Lui nel luoghi celesti al di sopra di ogni principato e di ogni potestà. La giustizia è vivere senza sensi di colpa, di indegnità e di condanna. Allora si è idonei a essere intercessori.
È da dire inoltre che possiamo essere giusti, e quindi intercessori, perché Dio ci ha posti in Cristo, infatti secondo natura nessun uomo è giusto davanti a Dio, come sta scritto: Non c’è alcun giusto, neppure uno. (Romani 3:10).
Il Signore ha preparato la soluzione al peccato, ha fatto in modo che, nonostante noi continuiamo a commettere errori, grazie al Suo perdono possiamo ristabilire la comunione con Lui e ripristinare davanti a Lui la giusta posizione.
1Giovanni 1:9 Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto, da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità.
1Giovanni 2:1 Figlioletti miei, vi scrivo queste cose affinché non pecchiate; e se pure qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo il giusto.
Per Sua grazia, Dio ci dà il perdono anche se non lo meritiamo e per la Sua misericordi non ci dà la punizione che meritiamo, ma quello che Egli ci concede non è solo per noi, ma per metterci nella condizione di intercedere per altri, in particolare per quelli che non Lo conoscono.
Ebrei 4:16 Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per ricevere aiuto al tempo opportuno.
Quando pecchiamo, non dobbiamo tardare a chiedere perdono, perché ritardare significa regalare tempo al nemico.
L’intercessore deve avere uno stile di vita di consacrazione a Dio improntato all’adorazione, alla ricerca della Sua presenza, a un instancabile desiderio di servirLo. Il suo compito è quello di ministrare prima a Dio (sharath) e di saper aspettare, come un cameriere che serve qualcuno, poi di ministrare al popolo (amad) e dimorare alla Sua presenza, aspettare come una sentinella che sta sveglia.
Ministrare al Signore non significa fare qualcosa di nostra iniziativa, ma attendere che sia Lui a dirci cosa fare. A tal fine, però, occorre esercizio e sottomissione alla Sua volontà, attitudine all’obbedienza.
A questo punto viene spiegato come avveniva nell’A.T. la consacrazione al sacerdozio: bisognava innanzitutto offrire sacrifici di animali per essere purificati dal peccato.
Esodo 29:1 «Questo è ciò che farai per consacrarli perché mi servano come sacerdoti. Prendi un torello e due montoni senza difetto,
Esodo 29:10 Poi farai avvicinare il torello davanti alla tenda di convegno; e Aaronne e i suoi figli poseranno le loro mani sulla testa del torello.
Esodo 29:18 Farai quindi fumare tutto il montone sull’altare: è un olocausto all’Eterno; è un profumo gradevole, un sacrificio fatto mediante il fuoco all’Eterno. 19 Poi prenderai l’altro montone, e Aaronne e i suoi figli poseranno le loro mani sulla testa del montone. 20 Scannerai il montone, prenderai del suo sangue e lo metterai sul lobo dell’orecchio destro di Aaronne e sul lobo dell’orecchio destro dei suoi figli, sul pollice della loro mano destra e sul dito grosso del loro piede destro, e spruzzerai tutt’intorno il sangue sull’altare.
Il significato di ciascuna di queste azioni ha valore anche per noi, infatti anche il nostro orecchio deve essere purificato per potere ascoltare la voce di Dio; il pollice, che rappresenta la forza della mano, deve essere purificato e unto per potere adempiere le opere dinanzi preparate da Dio per noi; l’alluce, che indica il cammino, deve essere santo, purificato col sangue e unto con lo Spirito.
L’olocausto era un sacrificio nel quale l’animale veniva bruciato per intero, ma c’era una parte che non doveva essere bruciata: la pelle, che spettava al sacerdote, il quale poteva disporne come voleva, anche confezionare abiti per la sua famiglia.
Levitico 7:8 E il sacerdote, che offre l’olocausto di qualcuno, prenderà per sé la pelle.
Perché Dio dava al sacerdote la pelle, cioè il mantello dell’animale sacrificato? Innanzitutto perché quando sale un sacrificio, la benedizione scende su chi lo offre. In quel caso sul sacerdote arrivava il mantello, a noi arriva la soddisfazione quando serviamo Dio con la Sua unzione.
Il sacerdote offriva il sacrificio e riceveva il mantello; per noi questo vuol dire che qualunque cosa facciamo in obbedienza alla volontà di Dio e con la Sua unzione, su di noi viene una grande gioia.
Quando un animale veniva offerto, non solo il peccatore veniva perdonato, ma veniva coperto, aveva una protezione divina e se camminava nell’obbedienza satana non aveva alcun appiglio per attaccarlo.
Tale cerimonia di consacrazione al sacerdozio durava sette giorni, in ciascuno dei quali venivano sacrificati un torello e due arieti. Quella lunga cerimonia dava loro la certezza di essere sacerdoti dell’Iddio Altissimo, dopo di che potevano esercitare il ministero sacerdotale.
Esodo 29:35 Farai dunque per Aaronne e per i suoi figli tutto ciò che ti ho ordinato: li consacrerai per sette giorni. 36 E ogni giorno offrirai un torello, come sacrificio per il peccato, per fare l’espiazione per esso e lo ungerai per consacrarlo.
Esodo 29:37 Per sette giorni farai l’espiazione per l’altare e lo santificherai; l’altare sarà santissimo: tutto ciò che toccherà l’altare sarà santo.
Anche a noi Dio vuole dare la consapevolezza di essere sacerdoti dell’Iddio Altissimo, non solo gli uomini, ma a differenza dell’A.T. anche le donne. Non abbiamo né tori né montoni da offrire, ma qualcosa di più costoso.
Romani 12:1: Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi, il che è vostro ragionevole servizio, quale sacrificio vivente, santo, e accettevole a Dio
Da questo versetto emerge un concetto importante: il nostro servizio non consiste in quello che facciamo, ma nel fatto stesso di esserci dati a Dio e di darGli gloria attraverso la nostra vita. Questo sacrificio Gli è gradito e ci abilita a funzionare come Suoi sacerdoti.
Esortandoci a presentare al Signore i nostri corpi quale sacrificio vivente, l’apostolo Paolo intende dire che in tal modo Gli presentiamo tutto il nostro essere, essendo il nostro corpo il contenitore anche della nostra anima e del nostro spirito.